Fra i vari trattamenti utilizzati sui pazienti affetti da malattia da Coronavirus (COVID-19) uno di quelli sui quali sono maggiormente puntate le attenzioni della comunità scientifica internazionale è l’uso del plasma da soggetto convalescente, contenente anticorpi teoricamente in grado di neutralizzare il virus. Anche in Italia sono in corso o stanno per essere avviate diverse sperimentazioni su di esso.
La terapia con plasma convalescente è già stata attuata in passato in corso di diverse epidemie o pandemie (H1N1, SARS, Ebola) con risultati interessanti. Alcune esperienze iniziali in Oriente sono state incoraggianti anche per il SARS-CoV-2, sottolineando l’efficacia di questo trattamento nel ridurre la mortalità in pazienti affetti da COVID-19. Va tenuto presente tuttavia che al momento, in attesa delle conferme di efficacia provenienti dagli studi avviati in Italia e all’estero, questa terapia va considerata ancora come sperimentale, soggetta quindi a tutte le regole e le autorizzazioni previste nel caso delle sperimentazioni cliniche.
Cerchiamo di rispondere sinteticamente ad alcuni quesiti.
Per quali pazienti?
I dati preliminari suggeriscono che una somministrazione precoce sia più efficace rispetto a fasi più avanzate della malattia, nelle quali la compromissione delle condizioni generali è maggiore.
Quali i possibili rischi?
A parte il rischio generico delle complicanze trasfusionali del plasma, è possibile che la risposta immune conseguente alla somministrazione di anticorpi possa in alcuni casi innescare una recrudescenza della sintomatologia polmonare: anche a questo dubbio gli studi in corso dovranno fornire una risposta.
Quali anticorpi?
Si tratta di una immunizzazione passiva, e gli anticorpi infusi sono destinati a scomparire nel giro di alcune settimane/mesi. Naturalmente il malato produrrà in seguito gli anticorpi propri, in risposta al contagio da SARS-CoV-2.
Quali volumi di plasma devono essere trasfusi?
Negli studi disponibili finora i volumi di plasma immune somministrati erano compresi tra 160 e 640 mL. Si può però ipotizzare che questa terapia possa in futuro prendere la forma di IgG frazionate dalla lavorazione di ampi pool di plasma: diverse aziende farmaceutiche di produzione di farmaci derivanti dal plasma si sono dimostrate molto interessate a questa prospettiva.
Qual è il momento migliore per raccogliere il plasma immune?
La comparsa degli anticorpi dopo il contagio da SARS-CoV-2 si verifica dopo 6-21 giorni ma naturalmente il plasma raccolto non deve avere alcuna traccia di virus. Dai dati di uno studio di Hong Kong il momento indicato per la raccolta è il periodo immediatamente dopo che è trascorso il quattordicesimo giorno dalla risoluzione dei sintomi.
Quali le prospettive in Italia?
Sono attualmente al vaglio di diversi Comitati Etici vari protocolli clinici della terapia con Plasma da convalescente nella patologia da SARS-CoV-2. Questi protocolli devono definire le tipologie di pazienti ai quali proporre il trattamento, i requisiti per l’arruolamento dei donatori di plasma iperimmune, che dovranno essere guariti clinicamente da almeno due settimane, con negatività del tampone nasofaringeo e a quantità di anticorpi adeguata. Il plasma raccolto deve rispondere ai requisiti di negatività ai test previsti dalla legge, più alcuni test aggiuntivi per altri agenti trasmissibili, ed essere sottoposto a procedure di inattivazione dei patogeni.